lunedì 16 dicembre 2013

Draghi: «Uscire dall'euro? Tesi populista che non sta in piedi» - Risposta dell'economista Salvatore Tamburro


DESTINATARIO:
Egr. Presidente Mario Draghi,
presso Eurotower,
Kaiserstraße 29
DE-60311 - Frankfurt am Main,
Deutschland
office.draghi@ecb.europa.eu

Le affermazioni del presidente della Bce, Mario Draghi, sono tratte da un'intervista al settimanale francese Le Journal du Dimanche, riportate sul Sole24Ore del 15/12/2013

DRAGHI: «La tesi populista che consiste nel pensare che uscendo dall'euro, un'economia nazionale beneficerebbe all'istante di una svalutazione competitiva come ai vecchi tempi non sta in piedi. Noi non ci sostituiremo ai governi; se tutti cercano di svalutare la propria moneta, non se ne avvantaggia nessuno. In conclusione, la strada verso la prosperità passa sempre attraverso le riforme e la ricerca della produttività e dell'innovazione»

TAMBURRO: Egregio presidente della BCE, mi permetta di dirle che l'uscita dall'euro che lei descrive come “tesi populista”, dove la parola “populista” assume perlopiù un'accezione negativa che diventa sinonimo di "demagogia" è a mio avviso errata, poiché il demagogo fa leva su sentimenti spesso irrazionali, mentre la soluzione ipotizzata di un'uscita dall'euro trova il consenso non solo di centinaia di economisti, ma anche di milioni di cittadini europei dichiaratamente contrari alla permanenza nell'Unione europea.
Inoltre, è contestabile la sua frase in cui afferma “noi non ci sostituiremo ai governi”; mi lasci dire che la Bce si è già sostituita ai governi in maniera più che marcata, dettando forzatamente la sua ingerenza nelle politiche monetarie di ogni singolo Paese membro dell'Ue. Alcuni, ma non tutti, non avranno dimenticato la famosa lettera che la Bce aveva spedito al governo (allora governo Berlusconi-Tremonti) il 4 agosto del 2011 firmato da Lei, Mario Draghi (allora alla presidenza di Bankitalia), e dall'allora governatore della Bce, Jean Claude Trichet, in cui si chiedeva l’anticipazione del pareggio di bilancio al 2013 dal 2014 e l'applicazione di un rigore finanziario mai visto prima. E' noto a tutti come la politica monetaria nazionale debba necessariamente subire il veto di certe organizzazioni sovranazionali (in primis B.C.E. e F.M.I.), tra l'altro (precisazione non di poco conto) non elette democraticamente da alcun cittadino europeo.

Quanto alla svalutazione della moneta, ovviamente Lei è ben conscio dell'impossibilità di un Paese come l'Italia di non poter svalutare per ottenere un vantaggio competitivo nei confronti di altri Paesi facenti parte dell'euro-zona, poiché tutti adottano la stessa valuta. Ciò ne consegue che l'Italia non potrebbe mai svalutare con l'obiettivo di essere più competitiva della Germania sui mercati esteri.
Per poter svalutare ed essere competitivi con i nostri partners europei abbiamo necessariamente bisogno di amministrare una nostra valuta nazionale, distinta da quella dei nostri competitors.
Ritengo che non sia dovuto al caso che, con l'introduzione dell'euro, la Germania abbia totalizzato un costante surplus nella bilancia dei pagamenti con l'estero (attualmente pari a +6,7%), mentre gli altri Paesi, in particolare quelli dell'Europa meridionale, abbiano totalizzato dei deficit sempre crescenti nella bilancia dei pagamenti con l'estero. A pensar male si potrebbe ritenere che l'Unione Europea sia un vestito cucito addosso ad un solo Paese, cioè la Germania, mentre gli altri Paesi siano obbligati a porre delle pezze riparatrici per colmare gli enormi strappi che si sono venuti a creare.
Inoltre, Lei è ben conscio del fatto che siamo immersi in quella che potremo definire una “guerra mondiale delle valute”, in cui tutte le altre economie stanno procedendo ad una svalutazione della valuta al fine ufficiale di uscire dalla deflazione, svalutazione non dichiarata ufficialmente, ma cercata ufficiosamente per ricercare quella competitività internazionale perseguita da tutti, tranne che dalla Bce.
Dall'alto della sua conoscenza ne converrà con me che la svalutazione non comporta alcun rischio di inflazione, come molti erroneamente fanno credere poiché, ad esempio, in Italia durante gli anni 1992-1993 (quando Lei a quei tempi era membro dei British Invisibles, i rappresentanti di un influente gruppo di pressione della City londinese, e si adoperava a “svendere i gioielli di famiglia” in compagnia dell'allora presidente di Bankitalia Ciampi, Beniamino Andreatta, Mario Baldassarri, i vertici di Iri, Eni, Ina, Comit, delle grandi partecipate che di lì a poco sarebbero state privatizzate) la lira in quegli anni si svalutò del 20% , mentre l'inflazione diminuì dal 5% al 4% e ci sono esempi storici che riguardano non solo l'Italia ma anche altri Paesi del mondo a dimostrazione del fatto che il mito che la svalutazione porti all'inflazione sia stato completamente distrutto.

DRAGHI: «La nostra politica monetaria rimasta accomodante dal 2011», poi «gli impegni che abbiamo preso sul futuro orientamento della nostra politica monetaria e la nostra decisione di novembre di abbassare il principale tasso direttore, per la seconda volta, a 0,25%. Le incertezze arretrano, e ciò dovrebbe contribuire a rilanciare gli investimenti e incoraggiare le banche a fare prestiti. Anche il potere d'acquisto è migliorato sotto l'effetto di un calo dei prezzi dell'energia e dei prodotti alimentari».

TAMBURRO: Le incertezze, presidente Draghi, non arretrano, anzi determinate azioni hanno sottolineato, qualora fosse ancora necessario farlo, che gli interventi della BCE abbiano favorito unicamente le banche e non imprese e famiglie. Le ricordo che le iniezioni di liquidità rappresentate dall’utilizzo dei finanziamenti Long term refinancing operations (LTRO), con cui l’Eurotower ha immesso nel sistema oltre mille miliardi di liquidità ad un tasso dello 0,75%, nella speranza di lenire il credit crunch, sono state utilizzate dalle banche italiane per fare cassa acquistando i titoli di Stato ed aggravando in tal modo la crisi delle piccole e medie imprese, costrette a licenziare per mancanza di liquidità.
Le banche italiane hanno ricevuto 270 miliardi di prestiti triennali dalla Bce al tasso dello 0,75% (al secondo posto dopo le banche spagnole con 300 miliardi), nelle famose aste di liquidità del dicembre 2011 e febbraio 2012, utilizzate al 90% per acquistare i titoli di Stato.
Il risultato di questa mossa ha favorito il credito alle PMI? Purtroppo no, il risultato si può definire con due semplici parole: speculazione finanziaria.
La contrazione del 3,7% nei prestiti al settore privato (famiglie e aziende) a ottobre rappresenta «la maggior flessione storica», secondo le statistiche di Bankitalia. In particolare il -4,9% riguardante le imprese «è un calo storico», mentre quello di -1,3% per i nuclei familiari non è un minimo assoluto.
Questo è un esempio lampante di come la finanza sia totalmente distaccata dall'economia reale.
Inoltre, la sua mossa di ridurre ulteriormente il tasso direttore allo 0,25% , allo scopo di evitare che le banche commerciali preferiscano depositare la loro liquidità presso la Bce, invece che erogare finanziamenti alle piccole-medie imprese, si è appurato non servire a nulla.
Come affermava lo stesso Keynes: “sembra improbabile che l’influenza della politica bancaria sul saggio di interesse sarà sufficiente da sé sola a determinare un ritmo ottimo di investimento. Ritengo perciò che una socializzazione di una certa ampiezza dell’investimento si dimostrerà l’unico mezzo per consentire di avvicinarci all’occupazione piena; sebbene ciò non escluda necessariamente ogni sorta di espedienti e di compromessi coi quali la pubblica autorità collabori con l’iniziativa privata”.
In conclusione, non serve a nulla “regalare” soldi alle banche perché prestino, anzi i dati dimostrano che più ricevono e meno queste erogano finanziamenti.

DRAGHI: «La crescita sta tornando ma non è certo galoppante. È modesta, fragile e diseguale. La disoccupazione è sempre troppo alta ma sembra stabilizzarsi attorno a una media del 12%. L'anno prossimo, prevediamo un ritmo di crescita per la zona euro di 1,1% e dell'1,5% nel 2015. Le esportazioni riprendono e, fatto nuovo, risalgono i consumi».
«La Bce non può ridurre il livello strutturale della disoccupazione, che dipende dal buon funzionamento del mercato del lavoro e dalla sua capacità di integrare meglio coloro che ne sono stati esclusi. La nostra missione principale è di mantenere la stabilità dei prezzi. Nella misura in cui le nostre azioni stabilizzano l'economia, esse contribuiscono alla riduzione della disoccupazione».

TAMBURRO: parlare di una “stabilizzazione” della disoccupazione a questi livelli è un discorso allarmante, soprattutto se la fonte da cui provengono certe affermazioni siano da collegate al presidente della Banca centrale europea, visto che in meno di sei anni la disoccupazione è più che raddoppiata. Dati Istat dimostrano che nell'aprile del 2007 era al 5,9%, mentre ad ottobre 2013 abbiamo registrato una disoccupazione al 12,5%. Ancora più allarmante è il dato della disoccupazione giovanile (15-24 anni) che ad ottobre 2013 ha raggiunto il massimo storico del 41,2%.
Mi permetta di contestarle che l'occupazione non si genera sul mercato del lavoro, bensì sul mercato dei beni: è stimolando la domanda aggregata, attraverso stimoli degli investimenti, accentuando la spesa pubblica e svalutando con giusta misura la propria valuta che si riesce a stimolare i consumi e a ridurre la disoccupazione. Le ricette economiche da Lei proposte hanno fallito e stanno continuando a manifestare il loro fallimento ed i dati macroeconomici ne sono la dimostrazione.
L'unico modo di poter fare stime realmente positive sulla produttività sarebbe quello di sostituire le politiche monetarie restrittive, con politiche monetarie espansive, ovvero facendo il contrario di ciò che si sta facendo adesso.
Lei potrebbe rispondermi che aumentare la spesa pubblica porterebbe ad un aumento del debito pubblico in quanto, siccome privi di sovranità monetaria, ossia del potere di emettere moneta, ci ridurremmo come sempre a chiedere denaro in prestito ai mercati (ossia alle banche) in cambio dei nostri Titoli di Stato (su cui paghiamo circa 100 miliardi di euro all'anno di soli interessi), e finiremmo per non rispettare i vincoli imposti dall'Ue in materia di pareggio di bilancio e di fiscal compact.
Orbene, mi lasci dire che allora abbiamo trovato la soluzione: riappropriarci della nostra sovranità monetaria e applicare una politica monetaria espansiva.
Se è vero, come afferma, che gli obiettivi che la Bce si prefigge siano la stabilizzazione dell'economia e, conseguentemente, la riduzione della disoccupazione, non può non convenire con me che bisogna abbandonare le attuali ricette economiche che ci hanno portato alla deflazione e alla crisi economica che stiamo subendo per applicare prontamente le soluzioni su proposte.

In attesa di una sua eventuale e gradita replica Le invio cordiali saluti

Salvatore Tamburro

Economista italiano


4 commenti:

  1. "Se tutti cercano di svalutare la propria moneta, non se ne avvantaggia nessuno". Bella. Ma a parte che la svalutazione sarebbe, per ognuno, proporzionata alla propria realtà (la Grecia svaluterebbe più dell'Italia, la Germania rivaluterebbe rispetto a tutte le altre monete...), come mai la stessa obiezione non è sollevata per le politiche mono-ricetta della Troika (se tutti svalutano i salari, alla fine non se ne avvantaggia nessuno, ma tutti i lavoratori sono più poveri).

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  2. Grazie per essere stato così chiaro nell'esposizione, anche per i... "non tecnici" :)

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  3. risposta davvero fantastica, unico appunto è che da come è impostato il discorso sulla Germania pare che questa nazione prima di entrare nell'euro fosse in braghe di tela e che i suoi famosi marchi, come siemens, bosh etc non se li filava nessuno (le concorrenti italiani quali sarebbero?? non mi pare abbia derubato i mercati italiani, cosa hanno rubato forse i tessuti o le auto?? Rifletterei su come la Germania, pur erogando gli stipendi tra i più alti in europa sia prima dell'entrata dell'euro, sia dopo, è rimasta quasi la prima della classe. Che qualcosa non vada in Italia è da scartare?

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