La Grecia è già tecnicamente fallita.
Adesso si discute di due soluzioni: l'uscita dall'euro o alla ristrutturazione del debito.
Il giornale tedesco, il "Der Spiegel", ha spiegato di aver ricevuto informazioni da fonti governative tedesche a conoscenza della situazione in Grecia secondo cui il governo di Papandreou starebbe considerando di lasciare l'euro e reintrodurre la propria divisa, la cara vecchia dracma.
Ovviamente le associazioni a delinquere come B.C.E., Ue e Fondo Monetario sono contrari a questa soluzione, perchè l'obiettivo è quello di tenere lo schiavo-greco nella gabbia e spremerlo come un limone il più possibile, anche perchè dichiarando ufficilamente bancarotta tutti i suoi creditori (le banche) andrebbero a perdere grossi profitti.
La soluzione allora è la ristrutturazione del debito, ossia dilungare la scadenza dei titoli di stato da rimborsare ed aumentare il rendimento dei titoli di stato attuali per renderli più "appetibili" sul mercato. In pratica un modo per rimandare il problema al futuro.
Inoltre la ristrutturazione del debito greco agevolerebbe banche, assicurazioni e fondi di investimento che emettono i cosiddetti CDS (credit default swap), che sono derivati, ossia scommesse vere e proprie sul fatto che uno Stato possa fallire oppure no.
In un articolo di qualche giorno fa si legge: "gli studi legali di banche e investitori che hanno in portafoglio grandi quantità di titoli greci o che hanno venduto i Cds sulla Grecia sono già al lavoro per valutare cosa accadrà nel peggiore dei casi possibili, il "worst case scenario" che di questi tempi è sul tavolo di tutti i trader. Una tesi avanzata dagli addetti ai lavori è che l'assicurazione dei Cds sulla Grecia non scatterà (non sarà rimborsato il danno da parte dell'assicuratore) nel caso in cui la ristrutturazione dovesse essere fatta su base volontaria."
Quindi la soluzione trovata è: ristrutturare (dilazionare e rimandare al futuro) il debito pubblico greco, ridurre la spesa pubblica (meno servizi ai cittadini) con misure di austerità applicate all'economia interna, salvare i CDS in caso di bancarotta greca e quindi rimborso dei contratti da parte di banche e assicurazioni, convincere i paesi europei a continuare con gli aiuti di stato (prendendoli dalle tasche dei cittadini europei), avviare «un sistema di controllo esterno del processo di privatizzazioni» per portare soldi nelle casse statali, ossia meno servizi pubblici per i cittadini.
Tradotto in parole povere: le banche generano la crisi, si salvano e ci guadagnano pure, mentre i cittadini greci patiranno il peso del debito, avranno meno beni e servizi e quelli che prima avevano gratis (o quasi), adesso saranno pure a pagamento in virtù del processo di privatizzazioni previsto.
Per fortuna esistono anche popoli che dicono NO alla lobby bancaria: gli Islandesi.
In Islanda il governo, che ha insistito per pagare il debito, sotto la pressione fatta dal FMI e dei governi olandesi e britannici, si è visto costretto a convocare un referendum, nel quale il 93% della popolazione si è rifiutata di pagare il debito di altri e i cittadini hanno così messo in un angolo i partiti impegnati a sottomettersi ai diktat dei mercati.
Gli islandesi hanno espresso chiaro e tondo che il debito lo paghi chi lo crea. Ovviamente la vicenda islandese è stata omessa su quasi tutta la stampa internazionale, per evitare un effetto contagio da parte degli Stati a rischio default.
E' un caso che forse, anche qui in Italia, lo strumento del referendum popolare è sempre trascurato in vicende politiche così importanti? Se viviamo in una democrazia (ci viviamo? è una domanda retorica e sia io che voi conosciamo la risposta) è il popolo che dovrebbe decidere sul suo futuro e non lasciarlo fare a un gruppo di speculatori privati.
Adesso si discute di due soluzioni: l'uscita dall'euro o alla ristrutturazione del debito.
Il giornale tedesco, il "Der Spiegel", ha spiegato di aver ricevuto informazioni da fonti governative tedesche a conoscenza della situazione in Grecia secondo cui il governo di Papandreou starebbe considerando di lasciare l'euro e reintrodurre la propria divisa, la cara vecchia dracma.
Ovviamente le associazioni a delinquere come B.C.E., Ue e Fondo Monetario sono contrari a questa soluzione, perchè l'obiettivo è quello di tenere lo schiavo-greco nella gabbia e spremerlo come un limone il più possibile, anche perchè dichiarando ufficilamente bancarotta tutti i suoi creditori (le banche) andrebbero a perdere grossi profitti.
La soluzione allora è la ristrutturazione del debito, ossia dilungare la scadenza dei titoli di stato da rimborsare ed aumentare il rendimento dei titoli di stato attuali per renderli più "appetibili" sul mercato. In pratica un modo per rimandare il problema al futuro.
Inoltre la ristrutturazione del debito greco agevolerebbe banche, assicurazioni e fondi di investimento che emettono i cosiddetti CDS (credit default swap), che sono derivati, ossia scommesse vere e proprie sul fatto che uno Stato possa fallire oppure no.
In un articolo di qualche giorno fa si legge: "gli studi legali di banche e investitori che hanno in portafoglio grandi quantità di titoli greci o che hanno venduto i Cds sulla Grecia sono già al lavoro per valutare cosa accadrà nel peggiore dei casi possibili, il "worst case scenario" che di questi tempi è sul tavolo di tutti i trader. Una tesi avanzata dagli addetti ai lavori è che l'assicurazione dei Cds sulla Grecia non scatterà (non sarà rimborsato il danno da parte dell'assicuratore) nel caso in cui la ristrutturazione dovesse essere fatta su base volontaria."
Quindi la soluzione trovata è: ristrutturare (dilazionare e rimandare al futuro) il debito pubblico greco, ridurre la spesa pubblica (meno servizi ai cittadini) con misure di austerità applicate all'economia interna, salvare i CDS in caso di bancarotta greca e quindi rimborso dei contratti da parte di banche e assicurazioni, convincere i paesi europei a continuare con gli aiuti di stato (prendendoli dalle tasche dei cittadini europei), avviare «un sistema di controllo esterno del processo di privatizzazioni» per portare soldi nelle casse statali, ossia meno servizi pubblici per i cittadini.
Tradotto in parole povere: le banche generano la crisi, si salvano e ci guadagnano pure, mentre i cittadini greci patiranno il peso del debito, avranno meno beni e servizi e quelli che prima avevano gratis (o quasi), adesso saranno pure a pagamento in virtù del processo di privatizzazioni previsto.
Per fortuna esistono anche popoli che dicono NO alla lobby bancaria: gli Islandesi.
In Islanda il governo, che ha insistito per pagare il debito, sotto la pressione fatta dal FMI e dei governi olandesi e britannici, si è visto costretto a convocare un referendum, nel quale il 93% della popolazione si è rifiutata di pagare il debito di altri e i cittadini hanno così messo in un angolo i partiti impegnati a sottomettersi ai diktat dei mercati.
Gli islandesi hanno espresso chiaro e tondo che il debito lo paghi chi lo crea. Ovviamente la vicenda islandese è stata omessa su quasi tutta la stampa internazionale, per evitare un effetto contagio da parte degli Stati a rischio default.
E' un caso che forse, anche qui in Italia, lo strumento del referendum popolare è sempre trascurato in vicende politiche così importanti? Se viviamo in una democrazia (ci viviamo? è una domanda retorica e sia io che voi conosciamo la risposta) è il popolo che dovrebbe decidere sul suo futuro e non lasciarlo fare a un gruppo di speculatori privati.
Salvatore Tamburro
Nessun commento:
Posta un commento